Tramonto

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Il tempo non ha tempo,

se incagliato nel momento

dell’ultimo sospiro del giorno.

Così, io vaga e vana

mi sollevo nell’incanto

di un istante imbambolato

nel tramonto.

E sogno, ed odo

ciò che nel mio giorno

non ho visto.

E cerco, e bramo

ciò che ancora adesso

non ho chiesto.

Meraviglia delle belle cose

Vedo il tempo
come tra le righe
di un foglio,
scivolare tra pensieri
di ancestral odore,
rivelato
come da un abbaglio
echggiante,
senza mai parole.

M’incanto
tra spiragli del mio mondo:
Fitti che trafiggono
il mio fiato
come carne molle
di un bambino inerme,
come astro
in terra ormai cascato.

E sono il tutto
nel tutto di ogni cosa.
Sono arrivo e nel contempo
attesa.
Sono vetta che ora tesa
aspetta,
Sono abisso,
mare e valle stretta.
Tengo il mondo
Stretto dentro un sogno
Quando d’ogni cosa
qui mi spoglio.

Meraviglia
delle belle cose
mite grazia
di tenaci rose
Meraviglia
delle vite spese,
dentro il tempo
delle lunghe attese.

Due minuti all’arrivo

Contratto il tempo, e sospeso. Due minuti all’arrivo della metro, e già preso dai jeans il mio libro osservo sottecchi il dondolio della gente. Formiche brulicanti, avanti e indietro, impazienti. Lo sanno, due minuti. E in questi due minuti che sono? chi sono? che faccio? Potrebbe disgraziatamente capitare di alzare gli occhi per cercare il cielo, ed inciampare in altri occhi, e riconoscere la breve distanza tra me e la persona che mi è accanto in banchina. Rovinosa vicinanza, come un sasso non visto per strada. Ed inciampa lo sguardo. Si ferma. Siamo così accanto e non parliamo. Sono così vicina e non l’avevo vista fino ad ora, né sentita, né guardata. Ha un rossetto tenue, come una fioca luce che balugina dal palmo di una lontana montagna. Rosaceo, allarma lievemente il colore delle sue labbra. E’ steso di fretta, non preciso, ma grazioso. Pelle chiara, quasi spettrale, e degli occhi nocciola. Un nocciola pieno, come un pastello saturo di colore. Un nocciola distratto, perso in una do-list che scorre, e percorre, e vaga e torna indietro tra le camere del cervello. Spesa, macchina, benzina, bollette, cena, Marco a scuola, venti minuti, due alla metro, fermata colosseo, il pane, la spesa, chiamare l’estetista, martedì dottore, venerdì dentista, domani sveglia presto, oggi, letto presto, è tardi, che ore sono? due minuti, ancora non passano, farò tardi, spesa, macchina, benzina, bollette, cena, Marco a scuola, due minuti, duemila anni, non passa, fa caldo, ho sete, chissà se poi piove, quanto manca, è tardi, ho sonno, sono stanca. Osservo le autostrade della mente intasarsi precipitevolmente, e creparsi, fratturarsi, emergere come lava da un vulcano e mostrarsi sulla fronte, nel solco di mille rughe già veterane in quel viso. Deve avere una trentina d’anni, è sposata, si cura le unghie, è ben vestita. Poi si alza e si allontana. Peccato, un’altra vita persa, un intreccio non legato. Un minuto alla metro. Il tempo non passa, s’è steso sui passi tiepidi che percorrono senza accorgersene due, tre o quattro metri di strada, avanti e indietro, indietro, avanti, un minuto. L’orologio suona, è un Casio. Suona a mezzogiorno, piccoli suoni acuti, come fosse una musica monotona che per uscire da quel polso s’è messa dei tacchi fini fini, e cammina sulle scale dell’aria quasi tintinnando. Bip, bip, mezzogiorno, un minuto, trentadue volte, avanti e indietro. Trentacinque persone concentrate in quattro metri e mezzo di banchina, autostrade di pensieri che si scontrano e rompono le fronti, rughe, sospiri, i tacchi del suono dell’orologio, e io col mio libro in mano. Non capisco ancora che cosa sono stata in questi due minuti della mia vita. A due a due in fondo fanno anche un’ora, e ora per ora passano i giorni, e gli anni. E il tempo sorride beffardo, disteso anche lui in quei quattro metri di banchina con una spiga di grano in bocca, tranquillo, mentre io in quel momento non sono, perché non parlo, non penso, non conosco, non apprendo, non faccio nulla. Aspetto. Treno in arrivo. E le autostrade si fermano, le giacche si scompongono strattonate dall’aria soffiata dall’impeto dei vagoni in frenata, gli occhi si accendono, le bocche dipinte da rossetti variegati si contraggono, si distendono, sorridono, si piegano, baciano, salutano. Il chiacchiericcio torna un po’ più vivido, più zampillante, e chiacchierano anche le ruote delle valigie che piano ma con note d’ansia, s’avvicinano alla fatidica linea gialla da non oltrepassare, ed io osservo, cerco vagoni con posti vuoti. Treno in arrivo, la massa entra, non parla, non si guarda, si siede, rimane in piedi, corre verso spazi vuoti, e oscilla in questi, fermata per fermata, minuto per minuto, ora per ora. E ora che entro in altri due minuti, nuovi, freschi, aitanti e promettenti, ora che torno a guardare il vuoto e a non pensare…ora, chi sono?

 

…e un’altra volta ancora…

Piccola eco a Gecolife, ( <- link)  letta, scritta così,

uno dei cerchi che nascono nell’acqua quando qualcuno getta una pietra. Grazie

 

 

E noi qui,

a ballare sotto l’ombra delle nuvole,

mentre dietro scorre il cielo.

Qui

a inebriarci di un tintinnio debole,

senza innamorarci mai davvero.

Sempre qui

scricchiolanti a un crepitio cedevole

mentre il tempo cambia sono in ero.

Come l’acqua tra le dita, scorre.

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Lontana
dai luoghi che cerco,
le parole che trovo,
sono labili,
impresse
tra volti al tempo
impermeabili.

Di un volto,
d’un secondo
veglio e mi volto
al suo nome.

Giacché è passato il tempo:
di giacche adorno
e di secondi.

Esito al secondo istante
e son già
due volte persa,
e presa,
dalla malinconia del
momento non appreso.

Ingranaggi serali…Buonanotte!

D_Tempi_moderni_ingranaggiTurbinosi pensieri della sera incalzano tiepidi, come una soffice musica jazz. Sapori, sentori, echi distratti storpiano la loro fonte. Il soffitto è il grande schermo che li illumina al buio. E il ticchettio, quel tic tac, permane, nonostante la tecnologia, il digitale. E’ incollato all’aria, o forse al tempo stesso. Come se il tempo si fosse fatto orologio. Come se si fosse ingabbiato in due o tre lancette. Tic tac. Cosa sono stato oggi? la forma dei miei vestiti o delle mani che ho toccato? I sorrisi che la gente si aspettava o il sorriso che lanciava il cuore? Tic tac, cammino traballando, e piano il sonno si porta via i miei occhi. Già in quest’attimo conclusivo sbiadisce il presente, ed io sbiadisco a me stessa. Cosa farò domani? l’astrazione di ciò che ancora non è e non può essere, s’accuccia nei miei pensieri. Smetto di essere nel presente, un po’ volo, un po’ già sogno.

Sogno di oggi, sogno di domani. Due tempi come due correnti, una calda ed una fredda, che scontrandosi danno vita a un turbine. A volte non ho nemmeno il tempo di vivere, perché non so come voglio vivere. Quanti lussi mi concedo nel cercare di capire come dover vivere, piuttosto che vivere propriamente. Allora la corrente calda si affievolisce, si fredda e non si crea più il turbine. Solo una fresca brezza, una carezza d’aria. Nulla più. A volte così sopravvivo. Nulla di più estraneo alla vita il dover sopravvivere per poterla trascinare ancora su ruvide strade.

Come si fa a vivere allora? vorrei essere la rotellina perfetta di quel ticchettio. Non troppo grande, non troppo piccola. E a volte mi chiedo se ho sbagliato orologio, stanza, casa o tempo…chissà